Se c’è una cosa che riesce
assolutamente bene a Yotam Ottolenghi e Sami Tamini, nel loro libro Jerusalem, è quella di fare viaggiare il
lettore per le strade di Gerusalemme e di fargli arrivare la complessità dei
suoi luoghi esclusivamente attraverso la sua cucina. Che è una cucina
complicata, meglio sarebbe definirla un intreccio di cucine, in quanto nasce da
una mescolanza di culture, tradizioni e religioni e grazie all’influsso di svariati
popoli, ma che presenta molti più lati in comune di quelli che si possa
pensare, come Yotam e Sami, nati e cresciuti nella stessa città, il primo nella
parte ebraica e il secondo in quella musulmana, ma conosciutisi a Londra, sanno
così bene raccontare. E che, come tutte le cose complicate, racchiude in sé un
fascino irresistibile. Al quale è impossibile sfuggire.
Riprendo da qui la mia avventura
con lo Starbook Redone, dopo vari mesi d’assenza. Con un pane saporito,
profumato e dalla forma particolare, di origini georgiane, anzi, come si dice
nel libro, uno dei simboli dello street
food georgiano di Gerusalemme.
Khachapuri, il pane piatto ripieno di formaggio e acharuli, la sua variante a forma di
barca con un uovo sopra. Davvero incredibile!
ACHARULI
KHACHAPURI
Da
Yotam Ottolenghi e Sami Tamini – Jerusalem
– Bompiani
Impasto
250 g di farina di grano duro
1 ½ cucchiaino di lievito di birra secco
ad azione rapida
1 uovo medio di gallina ruspante,
sbattuto
110 g di yogurt greco
½ cucchiaino di sale
60 ml di acqua tiepida
Ripieno
40 g di formaggio halloumi tagliato a dadini
da 0,50 cm
20 g di feta
60 g. di ricotta
¼ di cucchiaino di pepe nero frantumato
⅛ di cucchiaino di sale
½ cucchiaio di timo sminuzzato e un
extra per spargere
½ cucchiaino di za’atar
scorza grattugiata di ½ limone
6 uova medie di gallina ruspante
olio d’oliva per servire
Partite con
l’impasto. Versate la farina setacciata in una terrina e aggiungete il lievito
di birra. Mescolate piano. Praticate nel centro un incavo e versateci metà
dell’uovo (l’altra metà tenetela per spennellare successivamente i panini), lo
yogurt e 60 ml di acqua tiepida. Intorno all’incavo spargete il sale.
Cominciate a
rimestare gli ingredienti, aggiungendo acqua se necessario (senza esagerare,
deve riuscire asciutto), fino ad ottenere un impasto granuloso. Trasferitelo su
un piano di lavoro e lavoratelo con le mani per dieci minuti, fino a che gli
avrete dato sofficità e elasticità senza essere appiccicoso. Rimettete
l’impasto nella terrina, copritelo con uno strofinaccio da cucina e lasciatelo
lievitare a temperatura ambiente per un’ora/un’ora e mezza. Dovrà raddoppiare
di volume.
Riprendete a
lavorarlo, per fare uscire l’aria. Dividetelo in 6 pezzi ai quali darete forma
di palline. Mettetele su una superficie leggermente infarinata, copritele con
un canovaccio da cucina e lasciatele lievitare per mezz’ora a temperatura
ambiente.
Per fare il ripieno,
mettete insieme tutti gli ingredienti tranne le uova e l’olio d’oliva e
rimestate bene.
Preriscaldate il
forno a 200/ gradi. Forno a gas ventilato: livello 7. Nel forno mettete una teglia.
Su una superficie
generosamente cosparsa di farina lavorate le palline dando poi loro una forma
piatta e circolare (spessore 2 mm, diametro 16 cm circa). Potete farlo con le
mani o servirvi di un mattarello.
Versate con un
cucchiaio circa 20 g del ripieno di formaggio al centro di ogni disco
dell’impasto e spargetelo a destra e a sinistra quasi a raggiungere il bordo
esterno del disco in due punti.
Con le dita prendete
il disco in questi due punti e stringete tirando un po’ la pasta in maniera da
imprimerle una forma allungata, da barca, con il formaggio al centro.
Appiattite le pareti di questo contenitore a barchetta cercando di dare loro
un’altezza e una profondità di almeno 3 cm, in modo che ci sia al centro
abbastanza posto per il formaggio e per un intero uovo che metterete in un
secondo tempo. Con le dita premete bene insieme le estremità per evitare che si
aprano durante la cottura.
Spennellate gli
impasti con la metà dell’uovo rimasta e metteteli su un pezzo di carta da forno
della misura della teglia. Spargetevi sopra delle foglie di timo. Tirate fuori
dal forno la teglia e appoggiateci rapidamente la carta forno con gli impasti e
infornate. Lasciate in forno per 15 minuti, fino a che gli orli degli impasti
si saranno dorati.
Togliete ancora la
teglia dal forno e rompete in una tazzina un uovo. Tirate su il tuorlo cercando
di non romperlo e mettetelo al centro di uno dei panini. Versate nella cavità
quanto più albume possibile. Ripetete l’operazione per tutti i panini. Se
qualche uovo deborda, non preoccupatevi, fa parte del fascino rustico.
Rimettete la teglia nel forno e lasciatecela per 5 minuti. L’albume dovrebbe
cuocere e il tuorlo rimanere fluido. Lasciate raffreddare per 5 minuti prima di
versare un filo di olio d’oliva, poi salate e servite.
OSSERVAZIONI
- La ricetta, come tutte quelle che ho provato a fare
tratte da questo libro, è spiegata in maniera molto precisa e fin nei più
piccoli particolari. Spesso, nello spiegare un passaggio, viene anticipato già
quello successivo, cosa che evita a chi legge, come normalmente avviene quando
si cucina una ricetta tratta da un libro, di dover fare continui salti da un
punto all’altro per paura di anticipare i tempi.
- Le dosi dei vari ingredienti sono perfette, sia per
quanto riguarda l’impasto, che viene della giusta consistenza, sia per quanto
riguarda il ripieno, che non avanza né risulta essere insufficiente.
- Allo za’atar, che è una pianta ma anche un miscuglio
di foglie secche di issopo e sommacco, prodotto tipico di tutta la Palestina, viene dedicato nel libro un intero capitolo, nel quale si spiega molto bene che
cosa sia e come viene impiegato, ma di cui non viene fornita la ricetta, forse
per l’impossibilità di reperire tutti gli ingredienti. Io l’ho sostituito con
un mix di erbe aromatiche, origano, maggiorana, timo, salvia, ma
sicuramente il risultato non è lo stesso.
- Ho trovato un po’ eccessiva la dose di lievito
impiegata rispetto alla dose di farina, 1 cucchiaino e mezzo di lievito
disidratato equivale a circa mezzo cubetto di lievito di birra fresco, che per
250 g di farina secondo me è troppo.
- Nella ricetta si dice di fare lievitare l’impasto
due volte, la prima dopo aver impastato tutti gli ingredienti e la seconda dopo
aver formato le palline. Però, dopo aver appiattito i dischi e aver formato le
barchette non lo si fa lievitare nuovamente, si dice infatti di infornare
immediatamente. A mio avviso sarebbe stato meglio far lievitare la seconda
volta dopo aver formato le barchette e non dopo aver formato le palline. L’impasto infatti, una volta cotto, è
rimasto un po’ gommoso.
- Ho sostituito il formaggio halloumi con un
formaggio di capra semistagionato.
- Per i miei gusti la scorza di limone ha conferito
all’insieme un sapore troppo deciso, ma è questione di gusti e oltretutto,
potrebbe essere che utilizzando lo za’atar il sapore finale sia più
equilibrato.
CONCLUSIONI
Nonostante la
questione del lievito, essendo la ricetta ben spiegata e, soprattutto nella parte più
complicata della formatura delle barchette, non avendo trovato alcuna difficoltà d'esecuzione ed essendo i panini buoni e particolari, la ricetta è
PROMOSSA
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